giovedì 30 settembre 2010

The end of the world as we know it?

È da ieri mattina che nella zona della stazione manca l'illuminazione pubblica - e che brutto, al mattino è così buio. È da ieri mattina che in treno c'è il riscaldamento acceso - e che bello, al mattino è così freddo. E così è da ieri mattina che penso a questa cosa qua. Che poi magari mi sbaglio, non me ne meraviglierei, non sarebbe la prima volta; che poi magari la Storia mi darà torto; e poi sicuramente non sarò il primo che ci pensa, né il più titolato, né il più acuto, né il più influente: e però, tutto ciò premesso, già che ci sono dico la mia. Anche se nessuno me l'ha chiesta, o forse proprio per questo.
Perché, per quel poco che ne so, ho come la sensazione che il mondo, o meglio l'umanità, o meglio quella che definiamo la civiltà occidentale abbia da poco raggiunto e oltrepassato il culmine di un periodo di benessere unico dai tempi dei dinosauri (unico per durata, estensione e intensità) e che verrà difficilmente eguagliato in futuro. Un periodo di sostanziale pace, ricchezza, diritti, libertà, salute e progresso - e progresso vuol dire oggi più di ieri e meno di domani, vuol dire derivata prima positiva, vuol dire tanta roba. Se vogliamo mettere delle date, così a occhio, questo periodo lo farei cominciare qualche anno dopo la guerra, verso il '48; il culmine di cui sopra lo collocherei, senza troppa fantasia, al famigerato 11 settembre; da lì abbiamo scollinato e ora siamo in discesa. Discesa lenta, per ora (e finché ci sarà petrolio), quasi impercettibile; poi, temo, nettamente più ripida.
Il petrolio, eh beh, sì. Non credo sia un caso che questa - mi si perdonerà l'espressione - età dell'oro coincida con un'epoca in cui il petrolio è stato disponibile, economico e pesantemente sfruttato. Tantissima energia a bassissimo prezzo, ricavabile, trasportabile e utilizzabile con una semplicità mai vista. Prima c'era il carbone, ma vorrete mica mettere. E prima ancora c'erano le braccia, qualche cavallo o bue o mulo o asino per chi se lo poteva permettere, le braccia di altra gente per chi poteva permettersi addirittura quelle, e se no le proprie. E ci si faceva davvero un mazzo come un paiolo, allora, altro che.
Oggi si lavora (e in tanti si lavora da seduti, con tutto il rispetto) 40 ore alla settimana. Al lordo di ferie, permessi, malattie più o meno reali, scioperi, maternità, pause caffè, riunioni, social network vari e così via. Ai tempi 40 ore di lavoro (vero) si facevano in 3 giorni. Poi si esce dal lavoro, si prende la macchina, si va all'Ipercoop (al fresco d'estate, al caldo d'inverno, alla luce sempre: e qua si torna alla stazione alla mattina) e si compra roba che prima neanche si pensava avrebbe mai potuto esistere, a prezzi obiettivamente vergognosi. Anche lasciando perdere l'elettronica di consumo, con 5 euro si compra un paio di pantaloni made in Tagikistan (almeno finché quella gente là non si sveglia... ma manca poco); e tutti hanno la loro fettina di vitella (o almeno credono) e i loro pomodori, coltivati in serre riscaldate e trasportati per migliaia di chilometri, 365 giorni all'anno. Poi magari si sta male lo stesso, per carità. Perché i problemi si fa in un attimo a crearli, o a crearseli. Però intanto c'è da mangiare e da bere - mangiare e bere, mica balle - e non solo: c'è la luce nelle strade, il riscaldamento sul treno, il treno stesso e tutto quanto. Non è sempre stato così. Prima erano patate quando andava bene, anche di domenica. E se quell'anno in questa zona non pioveva, non erano neanche quelle. Si crepava, e basta. Come mosche. E nessun telegiornale lo raccontava. E se non era la fame era la malattia, o qualche guerra. Era naturale. E a dirla tutta, e parlando sottovoce, lo sarebbe ancora. Quello che è strano è che i bambini non muoiano di fame. I bambini di tutte le altre specie muoiono di fame, o di malattia, o ammazzati da parte di adulti di qualche altra specie più grossa. La natura è quella, c'è poco da fare, Quark docet. Tutto il resto, finché dura, è molto bello e molto civile e molto comodo, certo: ma non è naturale neanche un po'. E finirà. O forse ha già cominciato a finire.
Di sicuro tutte le libertà, tutti i diritti, tutte le conquiste sociali che erano state rese possibili da mezzo secolo di inaudita prosperità le stiamo cominciando a perdere. La pubblica istruzione di un certo livello, la scelta del lavoro che si preferisce (ma si scherza?), il posto fisso, la pensione a 50 anni (con altri 30 di vita davanti), la possibilità di andare ovunque si vuole in un attimo, in libertà e parcheggiando proprio lì sotto, la sanità quasi gratuita per tutti, lo scarico spensierato dei rifiuti prodotti dal nostro inedito stile di vita, hanno cominciato a non essere più così scontati. In fondo, via, ammettiamolo, forse avevamo un po' esagerato. Tutte queste cose belle e comode, probabilmente, hanno l'unico difetto di non poter durare. Anche perché, è noto, quasi sempre un diritto mio corrisponde a un dovere di qualcun altro più sfigato, perché nato in un altro luogo (Tagikistan) o in un altro tempo (tra qualche secolo, senza più petrolio, carbone, uranio e con tutta la nostra rumenta tra i piedi) o in un'altra specie (vitella).
La soluzione? No, secondo me non c'è. Buttare il tappo di plastica nel contenitore blu farà sentire a posto con la coscienza (che non è poco), ma - suvvia, siamo seri - non cambia le cose. E d'altra parte, se mezzo litro d'acqua lo vendono a 1 euro vuol dire che quella bottiglia di plastica è proprio comoda. E quindi si continuerà a usarla. Lei, il petrolio e tutto il resto. Finché ce n'è. Sperando che quando non ce ne sarà più non ci saremo più neanche noi. Ci sarà qualcun altro, cazzi loro. Per ora, sempre avanti. È l'unica. Anche perché che altro si può fare, scegliere liberamente di tornare alla buona vecchia servitù della gleba? E chi comincia, io? Ma no, andate pure avanti voi. Senza spingere, eh.

3 commenti:

Bongio ha detto...

Un post d'altri tempi. Uno di quelli prima dello scollinamento, per intenderci. Una roba da un 8, come quelli che la Gazza riserva a Eto'o o a Krasic quando fanno tripletta. Non è il 9 di Savicevic solo per la lunghezza, ma abbastanza per alzarsi in piedi e farti sentire la standing ovation. Qui, anche se il lavoro di leggerti è uno di quelli da stare seduti. Perché l'argomento è di quelli a vortice, che fai presto a caderci dentro e iniziare a far retorica. E te invece fai l'equilibrista sul ciglio del burrone, e quasi sembra che stai in un piazzale, tanto ti viene bene. Per cui, Gilo: go on, come direbbe qualcun altro! E speriamo che in quest'epoca di fine-petrolio, fine-buonaTV, fine-morale, e fine-AltraTantaRoba ancora tu possa scrivere tanti, tanti, tanti post come questo. Bravissimo!

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

avvelenato ha detto...

Veramente splendido colpo!