sabato 27 marzo 2010

Insert coin

Fino a pochi mesi fa a Sarzana, nella piazza con la statua col tipo col culo di fuori, resisteva uno storico negozio di articoli sportivi. Poi quel negozio ha chiuso, e nel locale che occupava sono stati installati vari distributori automatici. In realtà non so se hanno successo, ma glielo auguro di cuore, perché offrire al turista low cost o al passante frettoloso uno snack, una bibita e un caffè per pochi spiccioli e in pochi secondi costituisce un'attività encomiabile, nonché una delle poche che mancavano nella nostra città. Solo che forse questi di Sarzana si sono fatti prendere un po' la mano. Quella che segue, e che se ci cliccate sopra s'ingrandisce e se no no (fate un po' voi), è una foto scattata qualche giorno fa all'angolo superiore sinistro di uno dei distributori automatici in questione. Non è certo un capolavoro dell'arte fotografica moderna ma rende l'idea.


Nell'ordine, vi si possono identificare i seguenti prodotti:
  • Una chiavetta, altrimenti detta chiavina o pennina o pen drive o flash drive o periferica di archiviazione di massa USB (in esperanto, poŝmemorilo) da 8 GB;
  • Pacchetti di pseudopatatine;
  • Pacchetti di pseudocaramelle;
  • Chiavette, altrimenti dette come sopra, da 1 GB.
Ora, uno che è in giro per la strada può sentire un certo languorino e quindi comprarsi un pacchetto di patatine o simili (ma a proposito, come si chiamano quei cosi lì?), è normale. D'altra parte, chi abbia voglia di qualcosa di dolce ma sia particolarmente attento a non introdurre nella propria sana dieta un'eccessiva quantità di zuccheri può mangiarsi un pacchetto di caramelle dolcificate con sostanze presunte cancerogene e di certo lassative: perfettamente normale anche questo. Ma perché mai quel tale, mentre passeggia per il centro storico di Sarzana, dovrebbe sentire il bisogno di acquistare una chiavetta, e dovrebbe sentirlo così impellente da acquistarla in un distributore automatico? E per di più, transeat (come direbbe il mio responsabile tecnico preferito) per la chiavetta da 1 GB, quella in basso a destra, antiquata quanto si vuole ma se non altro impacchettata regolarmente; ma quell'altra? A parte che per comprarla in un distributore automatico bisogna avere in tasca 3 etti di monetine e la certezza che il meccanismo di espulsione del prodotto scelto non s'incepperà sul più bello; a parte questo, perché? Sia chiaro, lungi da me mettere in dubbio l'onesta del venditore o la regolarità della compravendita: la capacità sarà sicuramente pari a 8 GB e non un bit in meno, e se la scritta dice NUOVA!!! sarà senz'altro NUOVA!!! con tutti e 3 i punti esclamativi, e le modalità per usufruire della garanzia qualora la chiavetta risultasse inutilizzabile saranno senz'altro descritte con dovizia di particolari in un file memorizzato nella stessa, ci mancherebbe. Tutto in ordine. Ma perché?

sabato 20 marzo 2010

orteidni'llA

No, io no, io non sono di quelli; però ci sono anche loro, e bisogna tenerne conto. Gente strana, ma che in fondo non reca alcun danno alla collettività, anzi, forse le porta anche qualche leggero vantaggio.
Quelli che in treno si siedono all'indietro. Ovvero nella direzione opposta a quella di marcia.
Naturalmente non parlo dei treni coi posti prenotati, né dei casi in cui si è costretti a sedersi all'indietro da cause di forza maggiore: i seggiolini rivolti nella direzione giusta possono essere occupati, o sudici, o sfondati; oppure ci può essere qualcuna/o che vale la pena ammirare seduta/o nell'altro senso dall'altra parte del corridoio. Oppure si può essere in compagnia, uno si gira da una parte e uno dall'altra, è normale. No, parlo dei casi in cui sedersi in una direzione o nell'altra non comporta alcuna differenza che non sia, appunto, la direzione. Normalmente le persone tendono a sedersi nella direzione verso cui viaggia il treno, alcuni adducendo addirittura motivazioni gastrointestinali assai poco plausibili specie su linee prive di qualsivoglia curva percettibile dall'apparato sensoriale umano più sviluppato, ma ci sono le eccezioni.
Chissà perché lo fanno.
Forse è una questione psicologica, preferiscono rivedere i luoghi dove sono già passati piuttosto che scoprire quelli dove passeranno. Roba tipo rimanere ancorati alle proprie radici. Romantico non poco.
O forse si sentono più sicuri, poiché in caso di scontro frontale non verrebbero sbalzati in avanti ma prenderebbero solo una craniata contro il poggiatesta. Soluzione applicabile, volendo, anche alle auto (alle moto meno), così da poter fare a meno delle cinture. Per la sicurezza questo e altro.
Oppure hanno considerato che mediamente il treno frena più bruscamente di quanto non acceleri, sicché addormentandosi seduti all'indietro si riduce il rischio di antiestetici penzolamenti cervicali in fase di frenata. Fisicamente all'avanguardia.
O magari ci sono altre ragioni ancora più profonde, chissà. Di certo se lo fanno avranno i loro buoni motivi. Che non so e non voglio sapere.
A me mi basta che mi lasciano liberi i posti buoni.

mercoledì 10 marzo 2010

Ciao Darwin

Da qualche parte abbiamo sbagliato. Non è stata colpa nostra, né mia né vostra né, per una volta, di chi è venuto immediatamente prima di noi: è andata così e amen, gli errori si fanno e si pagano. Questo errore noi (noi la razza umana, dico) l'abbiamo fatto e lo paghiamo e lo pagheremo.
Dev'essere successo pressappoco quanto segue: a un certo punto, lungo la lunga e contorta e ramificata strada dell'evoluzione, ci siamo trovati dinanzi a un bivio. L'evoluzione delle specie, si sa, è costellata di questi bivii. Una razza arriva lì e, anche se non lo sa, si biforca. Di qua asino, di là cavallo. Di qua maiale, di là cinghiale. E una volta che una razza ha imboccato una certa strada non c'è mica più verso di tornare indietro. Si va sempre avanti, fino a un nuovo bivio o fino a un qualche cul de sac (chiedere a tilacini, dodi (no, non quello dei Pooh) e dinosauri vari). E così è successo all'uomo: a un certo punto un certo grumo di geni ha deciso di mutare, e ci si è separati: di qua Neanderthal, di là Sapiens (detta a spanne), e così via. Solo che, come tutte le cose del mondo, ogni razza ha i suoi pregi e i suoi difetti. All'asino magari farebbero comodo certe caratteristiche del cavallo, o della zebra, chissà; ma non ce le ha, e pazienza, va bene anche così, nel complesso, e comunque non può farci niente, l'asino, e quindi gli conviene andarsi bene così, tenersi com'è. E lo stesso vale per noi. L'uomo in fondo funziona bene, ha i pollici opponibili, la stazione eretta, il culo sporgente, un sacco di belle cose. Però qualche dettaglietto che non va, o che potrebbe andare meglio, ce l'ha anche lui.
Ad esempio. In questi giorni fa un freddo porco. Venti artici e venti antartici (e fanno quaranta) si sono dati appuntamento proprio qua al fine di sfidare il calendario che vorrebbe fosse quasi primavera. E così uno esce di casa e ghiaccia. Ghiaccia tutto il corpo, ma soprattutto certe zone. Soprattutto quelle scoperte. E tra queste tendono a ghiacciare in particolar modo naso e orecchie. Anche guance e mento non se la passano benissimo, certo, ma il freddo lo sentono soprattutto naso e orecchie. Madre Natura, com'è noto, ha dotato un bel po' di animali di apposita pelliccia, affinché potessero difendersi da questi e ben altri freddi. Di questa utile coltre pelosa a noi è rimasta (tra l'altro) la barba. La barba però, anche a lasciarla crescere, cresce su guance e mento. Cioè in posti magari non del tutto sbagliati ma certo meno utili di altri. Pazienza, certo, ci si adegua, però già che c'era avrebbe fatto comodo anche altrove, la barba. E mi sa tanto che nel corso di milioni di anni di evoluzione a qualcuno è capitato di averla dove serve. Qualche nostro progenitore si è trovato a un bivio: di qua pollici opponibili e appendice, di là barba su naso e orecchie (per l'inverno) e chissà quali sfighe (per tutte le stagioni). Per un certo periodo magari le due specie hanno convissuto più o meno pacificamente, poi la nostra ha prevalso, per un motivo o per l'altro (o per una semplice botta di culo, come spesso accade). E così usciamo, ghiacciamo e ci teniamo come siamo.

martedì 2 marzo 2010

Vintage?

Per ragioni sulle quali non mi soffermerei neppure se vi riguardassero, l'altro giorno mi sono arrivati a casa due CD. Mi sono arrivati e ho pensato bene di sentirli, per vedere quanto meno se funzionavano. E allora ho tolto dalla borsa l'onesto lettore MP3 che uso abitualmente in viaggio e per un giorno l'ho sostituito col caro vecchio riproduttore portatile di CD, riesumato per l'occasione da lungo letargo. Riproduttore marca Autovox, modello AX-01A14, e chissà quanti modelli differenti di riproduttori portatili di CD avrà mai prodotto la Autovox per doverli identificare mediante sigle astruse quali AX-01A14. Numero di serie 000100568, ma trattasi con ogni evidenza di numero pseudocasuale.
Ad ogni modo, ho preso due pile stilo alcaline, le ho inserite rispettando la polarità (una all'insù e una all'ingiù, ché le pile vanno in serie, si sa), ho collegato le cuffie (uscita PHONES, mica uscita LINE OUT: sembrano uguali ma invece c'è il trucco) e ho buttato il tutto nella borsa. Accomodatomi sul treno, mi sono scoperto a riscoprire gesti antichi, manualità dimenticate, interfacce primitive, nomenclature bizzarre. Aprire la confezione dei CD, estrarne uno facendo attenzione a non graffiarlo (in treno non è mica banale), aprire il coperchio del lettore, inserire il CD esercitando una pressione decisa ma non eccessiva al centro, richiudere il coperchio, e finalmente premere PLAY. Non poter leggere il titolo della canzone che si sta ascoltando né la sua durata, ignorare la carica residua delle pile. Regolare il volume ruotando una rotellina, forse un reostato o forse un potenziometro, non so, di sicuro qualcosa di intuitivo come solo l'analogico sa essere. Agire sul comando magniloquentemente denominato BASS BOOST (e già, perché l'apparecchio è dotato di "DBBS - Dynamic Bass Boost Sound", che vi credevate?). Dover fare attenzione a non sottoporre l'aggeggio a sollecitazioni eccessive e/o prolungate (nonostante il "10-second Anti Shock" sia di serie). Non poterlo mettere in tasca. A metà del viaggio, dover cambiare il CD ripetendo e duplicando la procedura di cui sopra. Ma anche avere tra le mani il supporto su cui è incisa la tua musica, incisa, scolpita, pit e land, mica grumi di elettroni che non sai neanche dove sono. E avere il CD originale, dove "originale" significa ancora qualcosa, non molto, è vero, ma più che niente.
Non sono un nostalgico né un feticista del microsolco, non ho mai comprato un 33 giri né probabilmente mai lo comprerò, ho avuto qualche 45 giri da bambino, poi buttato via come un cretino, ma posso capire chi sostiene che nonostante tutto erano un'altra cosa. Non tornerei indietro, però in effetti qualcosa di buono (nel mucchio) c'era, e non c'è più. E mi sa che quelli della mia generazione sono stati gli ultimi per cui queste cose qua contavano ancora qualcosa, e però mi sa anche che se queste cose qua non contano più, se una canzone non è che una lunga serie immateriale di zeri e di uni che si può copiare infinite volte rimanendo sempre identica a se stessa (ed è così), tutto il sistema com'è stato e com'è non dura ancora per molto, ma su questo sono stati e saranno scritti terabyte di zeri e di uni, e quindi la chiudo qui. Intanto non è questo il punto.
Il punto è che tutto ciò, il lettore CD, le pile stilo eccetera, fino a pochi anni fa era normale, anzi, quasi all'avanguardia. Era normale tirar fuori dalla borsa un lettore CD (beh, magari non un Autovox, ma insomma), nessuno ti guardava come un fossile. In fondo mica sono cassette, i CD. In fondo sono zeri e uni anche loro. In fondo il CD è una tecnologia figlia degli anni 70, ma anch'io sono figlio degli anni 70, e non mi ritengo ancora proprio così vecchio. O sì?