mercoledì 28 aprile 2010

Una sgommata sbagliata

Oggi ero a lavorare, e a un certo istante della mia dura giornata lavorativa ho pensato bene di prendermi una meritata pausa e di espletare una rilassante pisciata. Mi sono quindi recato al più vicino cesso libero, sono entrato e ho chiuso la porta. Ora, siamo tutti uomini di mondo e sappiamo tutti come sono i cessi nei luoghi pubblici. Diciamo che la gentile utenza, soddisfatti i propri bisogni, tende a curarsi della pulizia della tazza in misura leggermente minore di quanto farebbe a casa propria (o almeno, me lo auguro). Ciò, in ogni caso, è errato ma umano. Insomma, per farla breve, nei cessi pubblici si manifesta sovente il fenomeno denominato, in gergo tecnico, "sgommata". E così era anche nel cesso in cui mi sono recato quest'oggi. Con una particolarità non secondaria, però.
A causa di palesi ragioni morfologico-fisiognomiche che non sto qui a spiegare, normalmente la sgommata la si trova dalla parte del muro. Cioè, prendendo come punto di riferimento la vaschetta centrale con l'acqua, la sgommata classica è ubicata, rispetto ad essa, dalla parte opposta a quella in cui si trova lo spettatore. Quella che ho trovato io oggi, invece, era sul davanti. Dalla parte dello spettatore.
Già.
E io ci sono stato un po' a riflettere, lì davanti: diciamo che mi sono trattenuto qualche decina di secondi oltre il tempo strettamente necessario (mea culpa, capo), ma non me ne sono proprio capacitato. Ad ogni buon conto, uscendo ho prestato particolare attenzione ad evitare accuratamente di tirare lo sciacquone, in modo da consentire anche al successivo utente di quel cesso lo studio di un simile fenomeno. Spero che costui sia stato in grado di spiegarsi come e perché quel tizio prima di me abbia prodotto un tale prodigio. Io me ne sono lavato le mani (in tutti i sensi).

sabato 17 aprile 2010

Trainspotting e oltre

L'altro giorno ho visto passare un treno. Ma non un treno qualsiasi: il mio treno. Per tutta una serie di motivi che non vi devono interessare, l'altro giorno per arrivare alla stazione l'ho presa un po' più larga del solito, ho imboccato una strada alternativa, mi sono perso seguendo chilometrici sensi unici spiraliformi, mi sono ritrovato chissà come al passaggio a livello (che mi si è chiuso in faccia, come nelle migliori tradizioni), ho spento la Panda e ho visto passare puntualissimo il mio trenino. Prima del suo passaggio, però, seduto al sicuro della mia Panda ferma ho visto passare anche altra gente. Pedoni che arrivavano dalla mia direzione (li vedevo avvicinarsi nello specchietto), s'infilavano sotto le sbarre del passaggio a livello, davano un'occhiata a destra e una a sinistra, attraversavano trotterellando i binari, s'infilavano sotto le sbarre del passaggio a livello dall'altra parte e scomparivano dalla mia visuale. O viceversa.
Statisticamente, tra tutti gli attraversatori di passaggi a livello chiusi, ogni tanto qualcuno lascia la pelle a metà strada. È matematico. Ma credo che, esclusi parenti e amici stretti, in pochi piangano per questa gente. Attraversare i passaggi a livello chiusi è pericoloso, si sa. È ben per quello che li chiudono. E quella gente lì, quella stirata dal treno mentre attraversava un passaggio a livello chiuso, se l'è andata a cercare. Punto. Il che è anche vero. Se aspettavano buoni buoni che le sbarre si riaprissero, erano ancora qua con noi. Non ci piove.
Sì ma chi è che non se l'è cercata? Io con la mia Panda, se all'apertura delle sbarre fossi scivolato sopra una pozzanghera d'olio perso dal treno appena transitato e mi fossi spalmato contro il camion proveniente dalla direzione opposta, anch'io me la sarei cercata: se andavo a piedi, se andavo più piano, se facevo più attenzione a evitare l'olio, se mettevo i pneumatici da neve, ero ancora qua. Anche qualche sciatore fuoripista d'alta montagna e bassa stagione ogni tanto viene fagocitato da una valanga, ci rimane, e se l'era cercata. Ma anche una turista tedesca di mezz'età che mette male un piede lungo un sentiero delle Cinque Terre rischia di finire ai pesci; e persino chi passeggia pacatamente in riva al fiume può, in casi eccezionali, essere sbranato da un branco di famelici cani randagi o impallinato da un onesto cacciatore di specie protette. Qualunque cosa uno faccia presuppone una certa percentuale di rischio, più o meno alta, magari infinitesimale ma non nulla. In altre parole, tutti se la sono cercata, chi più chi meno. Non è che si può mettere una soglia sopra la quale è legittimo dire "me ne frego, se l'è cercata, si arrangi", come si sarebbe tentati di fare se si dovesse andare in elicottero a ripescare lo sciatore fuoripista di cui sopra in mezzo ai ghiacciai, con tutti i rischi del caso. Si dovrebbe, forse, ma non potendo mettere dei paletti precisi non si fa. E allora? Allora niente, era così per dire.

lunedì 5 aprile 2010

Sed lex

Non so, forse sto scrivendo l'ennepiuunesima cazzata, forse è solo una banalità, forse non è neanche un pensiero particolarmente democratico, e comunque è assai probabile che svariati politicanti e filosofastri abbiano esposto lo stesso concetto ben prima di me e con ben altra profondità; però:

La legge è uguale per tutti.
Vi sembra giusto? Sì, a prima vista mi sembra giusto anche a me, e grosso modo torna: cioè, a grandi linee è giusto per davvero. Ma mica sempre, mica per forza.
Facciamo un esempio terra terra. Davvero è giusto che l'importo della contravvenzione per un Pandino in divieto di sosta sia pari a quello per un Cayenne parcheggiato nello stesso identico punto alla stessa ora dello stesso giorno? Il danno causato alla fluidità del traffico è il medesimo e quindi, essendo la legge uguale per tutti, identico dovrebbe essere l'importo della multa; però, a parità di multa, il portafogli del padrone del Pandino ne risente assai di più, e converrete che ciò non è equo.
Oppure, per quale motivo chi è al potere, democraticamente eletto, deve vedersi negato il sacrosanto diritto di stabilire che "Il signor Gilo, amico mio e accusato di falso in bilancio, sfruttamento della prostituzione minorile, annessi e connessi, è innocente, punto"? Ora invece, siccome la legge deve essere uguale per tutti, per tirarne fuori uno di galera bisogna inventarsi depenalizzazioni, indulti, condoni, prescrizioni, decreti interpretativi, tar, cavilli... e farli uscire tutti: a chi giova?
E ancora, tanto per restare in tema, prendiamo la legge elettorale. A parte maggioritari, proporzionali, sbarramenti, listini e tecnicismi vari, il concetto di base è che ogni elettore dà un voto, e ogni voto vale 1. Ma davvero ha senso che il voto di un qualunque cretino come me, o di uno che sceglie quel partito perché gliel'ha detto la tivù o perché gli piace l'accostamento cromatico del simbolo, valga tanto quanto quello di insigni politologi (dell'una o dell'altra parte, non è questo il punto) che magari spendono anni e anni di lavoro a studiare la situazione sociopoliticoeconomica nazionale e mondiale passata, presente e futura? Intendiamoci, il suffragio universale è una conquista fondamentale e indiscutibile, ci manca: si tratterebbe solo di aggiungere un aggettivo. Che sarà mai un aggettivo. Passare al suffragio universale pesato. Tutti voterebbero, ma al seggio ad alcuni (tra cui me) verrebbe consegnata una sola scheda, ad altri 2, ad altri ancora, quelli che ne sanno davvero a pacchi, che hanno studiato punto per punto i programmi di tutti i candidati e hanno valutato gli effetti positivi e negativi di ciascuno, 10 o 20. Certo, ci vorrebbe un organismo super partes che stabilisse i criteri di merito in modo univoco e imparziale, ma poi sarebbero solo vantaggi. E giustizia per tutti, come dicevano quelli.
Insomma, sarebbe giusto che la legge fosse uguale per tutti se tutti fossero uguali. Ma fortunatamente non è così. Nessuno è uguale a nessun altro, è un dato di fatto. La natura, umana e non, funziona così. E allora adeguiamoci, una buona volta, no?