venerdì 21 dicembre 2012

martedì 20 novembre 2012

Zaluti da Zarzana


No, io dico. Stai scrivendo un'enciclopedia. Decine di tomi. Migliaia di pagine. Milioni e milioni di parole. Un fottio di lettere. Che nel mucchio te ne scappi una sbagliata ci sta. È nella natura delle cose. Siamo umani, chi più chi meno. L'errore, uno ogni tot, è contemplato. Tra l'altro poi chissà in quanti oseranno mai compulsarla davvero, quell'enciclopedia, e quanti invece più saggiamente si limiteranno all'utilizzo di base a mo' di complemento d'arredo. E quindi, a maggior ragione.
Ma invece no. Devi scrivere una parola. Una. Tre sillabe. Sette lettere. Nessuna apparente difficoltà ortografica. Per di più sai che quella parola verrà scritta e letta per decine e decine di volte al giorno per anni e anni. Per ancora di più intorno a te svariati cartelli di dimensioni ragguardevoli contengono proprio quella parola che tu devi scrivere, proprio e solo quella. Dove ti giri ce n'è uno. Devi solo copiarla. Se poi rileggendo quello che hai scritto ti accorgi che non è corretto non c'è problema, puoi correggere, nessuno ti sgrida. È facile, dai. Concentrati. Solo un piccolo sforzo. Credici. Ce la puoi fare.

Non ce l'hai fatta.

giovedì 15 novembre 2012

Il pericolo è il mio mestiere


Sono un amante del rischio, com'è noto. E oggi l'ho dimostrato al mondo.
A prima vista il secondo più commestibile a disposizione degli utenti della mensa quest'oggi era costituito da un bel paio di würstel. E sicché li ho presi. Poi volendo di contorno c'erano anche le patatine, ma lo sapete, ci tengo alla linea, e quindi ho ripiegato su delle sane (?) carote. E però, via, almeno una bustina di ketchup da mettere sopra ai würstel, almeno quella me la sono fatta dare. Se non che una volta giunto al tavolo, preso da ulteriori scrupoli salutistici, è andata a finire che non ho usato neanche quella. E allora, con notevole incoscienza ed estremo sprezzo del pericolo, l'ho fatto: l'ho infilata nella tasca posteriore dei jeans. Dove, naturalmente, me la sono dimenticata fino a sera. L'ho ritrovata giusto poco fa, poco dopo essere entrato in casa. Con somma gioia, ho constatato che era integra.
Poteva andarmi malissimo. A me e al sedile della macchina del collega che mi ha riportato a casa e quindi nuovamente a me. Per stavolta me la sono cavata, ma sarà meglio non sfidare troppo spesso la sorte.
Quanto a voi, non provateci da casa.

domenica 4 novembre 2012

Cifre tonde

Come certamente voi tutti ricorderete, meno di un anno fa ho compiuto 20 anni in esadecimale. E se la matematica, base o non base, non è un'opinione, allora ce li ho ancora tutti, 0x20 anni: né uno di più né uno di meno.
Bene.
Ma oggi c'è di più. La mia cara buona vecchia Panda, che certamente voi tutti conoscerete (o serve che ve la presento?), come testimonia la seguente


ha appena percorso i suoi primi 10000 km esadecimali. Equivalenti a 10000000000000000 km binari, volendo. Proprio nell'anno in cui il suo padrone, in base 2, ha compiuto 100000 anni. Pensate un po'.
Ma non è ancora tutto. A differenza di quanto statisticamente prevedibile per il sottoscritto, a occhio la mia cara buona vecchia Panda il mezzo del cammin di sua vita l'ha già raggiunto e sorpassato col suo abituale slancio. Di conseguenza con ogni probabilità il contachilometri di quella Panda non totalizzerà mai più in futuro un numero multiplo di 2.
Motivo in più per non lesinarle gli auguri.

sabato 13 ottobre 2012

Occhio per occhio


Occhio al quadrato (appunto). E sì, perché il quadrato è importante. Spesso lo si sottovaluta, il quadrato, ma è un'ingiustizia, però, come diceva quello. Ecco, appunto: chi è che lo diceva? Lo diceva un tizio che era uscito da poco da un uovo.
Fermi. L'uovo.
L'uovo esiste, in natura. Ne esistono di tante specie e dimensioni, ma tutte hanno forma più o meno simile. E viste da sopra (o da sotto), più o meno tutte le uova sono rotonde. E non sono sole. Ci sono un mucchio di cose, in natura, rotonde o approssimativamente tali. Le bolle di schiuma, i tronchi degli alberi, i sassi di fiume, i lombrichi sezionati, nei casi più fortunati le tette e/o le chiappe, secondo alcuni inguaribili razionalisti addirittura le stelle e i pianeti e i satelliti, persino la Terra stessa, sono suppergiù rotondi. Voglio dire che il concetto di "cerchio" è diffusissimo, e lo è, per così dire, per natura, lo era anche prima dell'intervento umano.
Ok.
Nonostante tutto ciò, tipicamente (visto che per il momento non esiste ancora il teletrasporto), si è abituati a considerare come un dannato genio l'inventore della ruota: cioè di una roba rotonda in mezzo a tante altre robe non meno rotonde. Capirai. Anche la palla di merda che crea lo scarabeo è rotonda, lo sappiamo tutti. Eppure abbiamo smesso di venerarlo da un po', quello.
Al contrario, fateci caso: niente che non sia creato dall'uomo (o quasi) è quadrato. Il ragno crea segmenti, poligoni irregolari, se gli va bene triangoli ma perlopiù scaleni: però, salvo casi eccezionali e fortuiti, non crea quadrati. Il quadrato, o il rettangolo (sì, beh, una volta inventato il rettangolo il quadrato viene facile), ovvero una superficie piana con quattro angoli retti, è opera dell'uomo e solo sua. Va bene, a livello microscopico esisteranno senz'altro cristalli a facce quadrate in abbondanza, ma di cose quadrate visibili a occhio nudo, prima dell'intervento umano, ce n'erano poche o niente.
E pensate un po' cosa sarebbe il mondo senza i quadrati (e i rettangoli, e i parallelepipedi, e i cubi, insomma tutta quella famiglia di roba lì). Non parlo solo di parole crociate sbilenche, cubi di Rubik insolubili, monitor con forme bombate molto vintage ma assai poco pratici, o compiti in classe di matematica cannati in pieno causa foglio a righe. No, qui si tratta anche di questioni più serie. Provate a entrare in un negozio di scarpe e figurarvi cosa accadrebbe se tutte quelle scatole non fossero squadrate. O se ne fate una questione di dimensioni, care lettrici, fate un salto nelle aree retroportuali di Santo Stefano e passate in mezzo a due pile di container e pensate se vi sentireste altrettanto tranquille se quelle cataste fossero composte non da parallelepipedi impilabili stabilmente uno sull'altro ma da oggetti delle stesse dimensioni ma di forma, ad esempio, a fagiolo.
Insomma, con tutto il rispetto per la ruota, il quadrato è importante. Essenziale. Senza di lui il mondo che abbiamo creato, bello o brutto che sia, non sarebbe lo stesso.
Per dire.
PS. Chiudiamo con una citazione solo parzialmente a tema, va'. Quello che ha inventato la ruota era un idiota. È quello che ha inventato le altre tre che era un genio.

sabato 22 settembre 2012

Dite un po'

Ma voi per caso sarete mica anche voi di quelli che la menano coi rimpianti dei bei tempi andati? Di quelli che ah, una volta sì, ma oggi, o tempora, signora mia, dove andremo a finire, eccetera? No, ma dico, ma scherziamo? Ma ve lo ricordate com'era dura la vita una volta? Era un casino, altro che. Anche solo fino a pochi anni fa, e anche per le operazioni quotidiane più abituali.
Tipo, vi ricordate quando c'era da tagliare a fette una banana? Che è un'operazione di routine un po' per chiunque, credo: o mi verrete mica a raccontare che voialtri non vi dedicate ad affettare banane almeno 2 o 3 volte al giorno? Ebbene, non fate finta di esservene dimenticati: ogni santa volta vi toccava prendere la banana, sbucciarla, e poi tenendo lei con una mano e un volgare coltello con l'altra zac zac zac zac zac zac zac zac zac zac zac zac zac zac zac zac zac farla a fette approssimativamente regolari (l'approssimazione, che orrore!), e infine dare una lavata al coltello. Un lavoraccio, ne converrete. Che invece oggi si è trasformato in un'attività meravigliosamente semplice, rapida, precisa e addirittura divertente, e questo grazie ai più moderni ritrovati della tecnologia:

Mai più senza.
E guai a chi mi viene ancora a raccontare che si stava meglio quando si stava peggio.

martedì 7 agosto 2012

Mah

Ovvero: cartello di dubbia utilità comprensivo di traduzione di dubbio gusto (in rumeno, per la cronaca).


sabato 9 giugno 2012

Marileneide


Sì, beh, palesemente
non viene dal Tirolo,
e, no, non ha neppure
l'accento romagnolo;

le sue corde vocali
non son di un usignolo,
lo sento bene quando
mi dedica un assolo;

il suo vocabolario
appare preso a nolo,
più che da una regina,
da un rude boscaiolo.

Ma questi son dettagli
sui quali io sorvolo,
poiché su di me espleta
l'effetto del tritolo.

Da quelle labbra sgorgano
litri di vetriolo,
ma ciò che io ci vedo
è un fiore col bocciolo.

Mi ammalia come fata
di un gran gioco di ruolo,
e poi, con uno sguardo,
mi fa crollare al suolo.

Mi fa lo stesso effetto
del fuoco su un ghiacciolo:
al suo cospetto fondo,
mi sciolgo e in terra colo.

Par che sbuchi da un quadro
d'autore macchiaiolo,
capolavoro vero,
soggetto campagnolo.

Pare fatta di marmo
o di polistirolo,
invece è tutta carne,
son proteine solo.

Fa sangue più di un silos
ricolmo di barolo:
vino fatto con l'uva,
altro che metanolo.

Sotto la scorza dura,
a guisa d'un raviolo
è piena di dolcezza,
qual crema in un cannolo.

Essendo tutta panna
darà colesterolo,
ma con lo stare a dieta
certo non mi consolo.

Lei mi rifiuta ed io
non sono un donnaiolo,
sicché non sarò mai
padre d'un suo figliolo;

ma m'accontenterei
di farle da bracciolo,
o di sfiorar quel viso
essendo un tovagliolo.

Vorrei, se coglie fiori,
essere un bel giaggiolo;
se invece va per funghi,
un grande prataiolo.

Se pigna il cuor suo fosse,
esser vorrei pinolo;
qualora fosse hamburger,
farei il cetriolo.

Vederla mi fa andare
fuori come un poggiolo,
mi fa lo stesso effetto
di un tino di nebbiolo.

Per questo e molto altro
impavido m'immolo.
Col rischio che mi faccia
un cul com'un paiolo,

che mi percuota forte
a colpi di mazzuolo,
che dove il sol non batte
mi pianti un grosso piolo,

che mi trapassi il cuore
usando un punteruolo
e poi mi seppellisca
laggiù nel sottosuolo,

o che per farlo deleghi
un qualche mariuolo,
o, come canta quello,
persino un bombarolo,

- da lei qualunque cosa
io prenderei al volo:
con gioia prenderei
da lei anche il vaiolo -

magari inutilmente,
ma senza colpa o dolo,
io devo urlarlo al mondo:
io stimo la Maiolo.

mercoledì 9 maggio 2012

Fwd: Foto mediaworld

O potevo forse dire di no?

---------- Messaggio inoltrato ----------
Da: [Un tale]
Date: 09 maggio 2012 15:47
Oggetto: Foto mediaworld
A: [il Gilo e qualcun altro]


Ciao,

come state? Noi tutto bene ... io ([nome della parente acquisita del tale] che vi scrivo) ora sono a casa dal lavoro mentre [nome del tale] è sempre a [luogo di lavoro del tale] a faticare!
[Il tale] mi ha autorizzato a disturbarvi dal momento che in questo periodo sono nullafacente (ancora per poco dal momento che a breve penso che sarò parecchio presa) ed allora mi vuole tenere occupata.

La mia ultima occupazione è un concorso di fotografia. Ad aprile abbiamo acquistato su mediaworld una macchina fotografica e stiamo partecipando ad un concorso "i colori della fotografia".

Ora mi servirebbe il vostro supporto per votare la nostra foto in modo da avere qualche possibilità di vincere (vincono i primi 50 e ci vogliono circa 70 voti ... noi siamo a 35).

I passi sono i seguenti:

-          Accedere al sito  http://fotografia.mediaworld.it/
-          Cliccare il link REGISTRATI a meno che non siate già registrati al sito di mediaworld (ebbene si ci sono un po' di campi da compilare … ma è per una buona causa :-) )
-          Attivare l'account, cliccando sul link che si riceve al proprio indirizzo di posta (dopo pochi secondi)
-          Sempre sul sito http://fotografia.mediaworld.it/ cliccare il link: vota le tue foto preferite e partecipa all'estrazione finale (per i votanti c'è la possibilità di vincere un buono di 100€ con un'estrazione: questa succulenta opportunità dovrebbe vincere ogni vostra ultima resistenza)
-          Selezionare la foto intitolata "Alla scoperta del mondo" (che vi invio in allegato in modo da non sbagliare). La foto è stata caricata in data 4 maggio ed è attualmente a pag.10 delle PIU' VOTATE
-          Cliccare il link: Vota questa foto
-          Potete anche lasciare un commento se non siete troppo stufi

PS1: Gilo se vuoi puoi mettere la foto sul tuo blog e chiedere a tutti i tuoi lettori di votarla!!!
PS2: potete estendere l'invito a votare anche alle vostre ragazze ed agli altri ragazzi/e di cui non ho l'indirizzo
PS3: grazie e scusate per la rottura di scatole!

Ci vediamo presto,

[la tale] e [il tale]

lunedì 30 aprile 2012

Sarà capitato anche a voi


Vi è mai capitato di avere quella sgradevole sensazione di dover fare qualcosa ma di non sapere che cosa? Succede un po' a tutti, credo. Uno sta lì sapendo che aveva qualche cosa da fare, immaginando che fosse qualche cosa di importante, ma senza ricordarsi di che cosa si trattasse. E sta male, si sente impotente, si arrovella, passa in rassegna tutte le possibili incombenze future senza trovare il bandolo della matassa e quindi senza la speranza di poterla sbrogliare. Poi, dopo qualche tempo, all'improvviso torna alla mente l'operazione che si doveva compiere. Generalmente a questo punto è troppo tardi, ma non sempre. E allora si svolge quel compito e subito ci si sente più tranquilli.
Ebbene, a me sta succedendo praticamente da un mese. Per l'esattezza dalle 19.33 del 1 aprile u.s. Sono stati giorni d'inferno, credetemi. Sapevo che dovevo farlo, ma oddio che cosa dovevo fare? Solo poco fa, improvvisa, la folgorazione.
Dovevo scrivere questo post.
Ecco fatto.
Ora mi sento meglio.

domenica 1 aprile 2012

Ebbene sì, l'aria nei peperoni


C'è stato un periodo della mia vita in cui fracassavo l'anima a chiunque mi capitasse a tiro, con questa storia. Poi ho smesso, ma l'interrogativo mi è rimasto dentro, me lo sento spesso, all'incirca ogni volta che mangio pesante. E quindi lo propongo.
La questione è la seguente: L'aria nei peperoni. Avete tutti presente un peperone, no? Ottimo. Quindi saprete tutti che dentro al peperone, sotto la buccia, c'è uno straterello sottile di polpa, e poi c'è aria. Tanta aria. Praticamente, l'interno di un peperone è quasi tutta aria. E quindi, la domanda che mi venne spontanea un giorno e che da quel giorno non mi ha ancora lasciato è: Ma da dove viene mai tutta quell'aria? Sarà aria esterna, atmosferica, che viene pian piano inglobata all'interno del peperone o sarà prodotta da qualche organo apposito dell'ortaggio stesso? Perché il peperone ovviamente nasce fiore e poi pian piano si espande fino ad arrivare dal nostro verduraio di fiducia così come lo conosciamo. Ma l'aria che ha dentro è lì perché traspira da fuori attraverso buccia e polpa (mica facile!) oppure qualche cellula del peperone è preposta a produrre grandi quantità di gas gonfiando così il peperone dall'interno? E in questo caso, quali sono queste cellule e quali gas ci sono all'interno del peperone?
Questa è la domanda. Una risposta ci sarà per forza, ma non la conosco. Ora però voi non potete dire di non conoscere la domanda. E allora, su, forza. Lo so che la sapete. Ho grande stima di voi, esimi lettori: sapete anche questo, no? Esprimetevi dunque.

martedì 6 marzo 2012

Sempre cara mi fu


Lungo l'autostrada che passa da queste parti stanno facendo dei lavori. Stanno lavorando per noi, come dicono loro. E che cosa stanno facendo? Stanno cambiando il guard rail centrale, quello che separa le due carreggiate. Stanno togliendo quello vecchio, piccolo, squadrato, opaco, polveroso, a tratti un po' arrugginito, che faceva molto anni 70, e ne stanno mettendo uno nuovo fiammante, più alto, più robusto, formato da due sezioni, una in basso e una in alto, una per le auto e una per i camion, entrambe d'acciaio bello nuovo, zincato di fresco, lucido che ti ci puoi specchiare, pulito che ti ci puoi cuocere una lunghissima salsiccia in ogni sezione per un totale di 2, una meraviglia, detta così; e però.
Però questo nuovo guard rail è un pezzo unico, cioè, è composto da una fila unica di pali, piantati nell'asfalto, ai quali sono attaccate le due lastre d'acciaio piegate, una di qua e una di là. Quello vecchio invece in realtà erano due, indipendenti, uno rivolto verso la carreggiata est e uno rivolto verso la carreggiata ovest; e tra l'uno e l'altro, e vengo al punto, c'era la siepe.
Ecco. Quella siepe m'ha sempre affascinato, fin dai viaggi della più tenera età, quando la guardavo scorrere velocissima dal finestrino dietro (ché visto di lato il mondo va più veloce, com'è noto). Non so da che specie botaniche fosse costituita, coi nomi delle piante me la son sempre cavata male e mi è sempre dispiaciuto, ché chiamare un albero "albero" credo gli tolga qualcosa, ma su questo casomai ci scriverò un altro post, prima o poi, o anche no, non importa; il punto è che quelle erano piante, era vita, per quanto radicalmente antropizzata era comunque natura, che si manifestava in un luogo tra i meno naturali che si possano immaginare, uno stretto e lungo corridoio incastrato tra due pareti d'acciaio oltre le quali si estendono metri e metri di manto bituminoso.
Quelle piante stavano lì senza nessuna cura, strette in una striscia di terra larga quanto un rotolo di carta igienica, immerse in un'atmosfera densa di gas di scarico, sfrondate senza riguardo ogni volta che osavano protendere qualche ramo oltre i limiti di sagoma che gli erano stati imposti a loro insaputa: eppure resistevano. Regalando ai nostri assetati motori qualche molecola di comburente, che non fa mai male, e soprattutto simboleggiando la sovrumana potenza della natura, e magari rappresentando così un monito per gli automobilisti che, chiusi nei loro rombanti involucri ammortizzati e climatizzati, credessero di averla totalmente sottomessa - a quelli che ci facevano caso, per lo meno, che a occhio non erano poi moltissimi.
In ogni caso, appunto, la questione sta per essere risolta definitivamente col disboscamento totale di quella minuscola fettina di verde tra il grigio del metallo e il nero del bitume. Non è una cosa bella, a mio avviso. Stavo per prendermela con la concessionaria autostradale responsabile della micro-deforestazione in atto, quando ho scoperto che quei signori, i padroni di quell'autostrada lì, sono stati capaci addirittura di peggio. Ovvero di questo. Sentitelo, ve ne prego. E poi ditemi, al confronto di una mostruosità simile, cosa saranno mai due piantacce in meno...

sabato 11 febbraio 2012

Ciucciare oh oh


Ero lì, e c'era questa panchina, e sopra a questa panchina c'era questo ciuccio. C'era perché qualcuno ce l'aveva dimenticato, o forse buttato, benché un sommario esame visivo non vi evidenziasse particolari difetti. Lì era e lì, su quella panchina, l'ho lasciato, ovviamente. Non l'ho mica raccattato, eh. Però per un attimo l'ho pensato: ho pensato che ogni tanto farebbe proprio comodo, un ciuccio.
I ciucci, lo so, sono una roba da bambini, e da bambini piccoli, per giunta, e io è già da un po' che non lo sono più, un bambino - piccolo, poi. Ci sarò certamente passato anch'io, ai miei tempi, per la fase del ciuccio, anche se non ne conservo il minimo ricordo; e però è finita, sono cresciuto, ho iniziato a farne a meno, ci ho perso l'abitudine, e poi ho imparato che è andata così perché era così che doveva andare, perché prima ero un bambino piccolo e dopo invece ero diventato un bambino grande e i bambini grandi il ciuccio non lo usano eccetera. Ma ora mi chiedo: perché? Cioè, chi l'ha detto che il ciuccio deve essere solo una roba da bambini? Perché uno, maggiorenne e consenziente, che desiderasse un ciuccio non ne troverebbe mai della sua misura, e se anche lo trovasse indossandolo verrebbe stigmatizzato e deriso dalla collettività alla quale peraltro non recherebbe il minimo danno?
Ad esempio, uno è in treno, lì, da solo, magari incazzato per i suoi buoni motivi, magari attorniato da compagni di carrozza vocianti, e magari con le pile dell'mp3 scariche: cosa fa? Tira fuori il suo ciuccio, chiude gli occhi, e via. Oppure, che ne so, la sera davanti alla tv, o a una noiosa conferenza, o in sala d'attesa, o in tutte le mille situazioni quotidiane in cui si sente la necessità di ingannare il tempo e/o di combattere lo stress. Il pollice no, non è igienico né per se stessi né per gli altri con cui si viene a contatto, poi tiene impegnata tutta una mano, e poi a lungo andare fa tutte le rughine come quando al mare si sta troppo in acqua. Un bel ciuccio, magari con un design ricercato e moderno, magari realizzato con materiali naturali, ipoallergenici e biodegradabili, sarebbe l'ideale.
A questo punto forse qualcuno che ha letto Freud o gente del genere, o che ne ha sentito parlare di sfuggita, potrebbe anche trovare in questo desiderio di ciuccio recondite motivazioni inconfessabili: a loro ricorderemo, senza perderci troppo tempo, l'esistenza di lecca lecca, stecche di liquirizia, tappini di penne, pipe, sigarette e simili, che al ciuccio possono essere assimilati senza eccessiva fatica; ma appunto senza perderci troppo tempo, però: ché non se lo meritano. E poi non abbiamo tempo per i discorsi, noi: il nostro ciuccio ci aspetta.

sabato 4 febbraio 2012

lunedì 23 gennaio 2012

Io non guardo il risultato

Ero a pensare al ben noto discorso secondo cui spesso più che il risultato finale conta come ci sei arrivato, il percorso che hai seguito, le difficoltà che hai superato, le sensazioni che hai provato lungo il tragitto e così via. Nulla di particolarmente originale, come vedete. È storia vecchia, ancorché vera, e l'hanno detta in tanti molto meglio di come potrei mai dirla io. Non avrei certo scritto un post su questo. Non se lo sarebbe meritato, un post, questa banale riflessione. In altre parole, tanto per rimanere in argomento, il risultato (il post) sarebbe stato assolutamente trascurabile, specie se paragonato al modo in cui ci sono arrivato, a pensare a questo post.
E come ci sono arrivato? Ecco. Tempo fa ero lì di fronte al cesso, con il pollice sul bottone dello sciacquone, pronto a regalare al fiume la mia ultima creatura ancora calda, e osservandola riflettevo sul fatto che non era proprio niente di che: due o tre pezzettoni di materia marrone, molliccia, puzzolente, malsana. Proprio uno schifo (ma ciò non è un dato oggettivo, come cantava quello). Eppure il, diciamo così, processo produttivo è tanta roba. In particolar modo se il trascorrere del tempo lo ha reso particolarmente impellente, ma in realtà anche se avrebbe potuto essere rimandato ancora di qualche quarto d'ora, il procedimento mediante il quale blocchi siluriformi di tiepidi rifiuti semisolidi vengono espulsi del nostro organismo, così come tutte le funzioni biologiche volontarie necessarie alla sopravvivenza dell'organismo stesso e della specie, è stato progettato dalla Natura per essere piacevole per l'individuo che lo mette in atto. E ci riesce, altroché se ci riesce. Poi, il risultato fa schifo, è vero, ma in fondo basta un colpo di sciacquone (e 2 o 3 strusciate di scopino, se proprio necessarie) per spedirlo in mare.
Questo pensavo.
E quindi, adesso che ho finito di scrivere questo post, sapete che faccio?

mercoledì 11 gennaio 2012

Tutu ven a tagiu, anke l'unza da mundar l'agiu


Perché non è mica che serve proprio tutto, eh. Cioè, non è che tutte le cose che esistono, che sono state inventate o realizzate, siano assolutamente indispensabili. Certo, ormai che ci sono ce le teniamo e se ci tornano utili le usiamo, ma molte se non ci fossero pazienza, se ne farebbe a meno e si andrebbe avanti inconsapevoli e quindi tranquilli.
Chiaro che questo discorso non vale per tutto: il fuoco, per esempio. Se a suo tempo non avessimo scoperto il fuoco, probabilmente saremmo ancora lì al freddo e al gelo in qualche antro buio e umido a menarci coi licaoni (e a buscarle) per accaparrarci qualche brandello di seconda scelta della carcassa putrescente di uno gnu morto di vecchiaia. Col fuoco no.
Ma di tante altre cose si potrebbe far senza senza troppi danni. E non mi riferisco solo ai più moderni e superflui ritrovati della tecnologia, ma anche a invenzioni, per così dire, di base.
La ruota, per dire. L'abbiamo inventata, è bella, è utile, e la usiamo. Ma non era mica obbligatoria. Tutti gli altri animali non ce l'hanno mica: eppure. Camminano, trottano, corrono, volano, nuotano, strisciano, saltano, nessuno usa ruote, eppure tutti vanno senza problemi per la loro strada. E così potevamo fare anche noi. Le automobili sarebbero forse state simili a grossi gusci dal sapore vagamente leonardesco dotati di enormi zampe connesse direttamente alle bielle, i treni avrebbero avuto l'aspetto di millepiedi giganti sballonzolanti, il Giro d'Italia lo si sarebbe corso a piedi (e in fondo sarebbe bastato aumentare leggermente le dosi di eritropoietina per mantenere invariata anche la media oraria), vasi e piatti sarebbero stati quadrati come nei ristoranti di grido: poco male.
Oppure, la scrittura. Sul tema non c'è bisogno di scomodare Platone o chi per esso, spero. Senza la scrittura, la cultura avrebbe continuato a essere tramandata oralmente e arricchita passaggio dopo passaggio, il riconoscimento automatico della voce avrebbe necessariamente fatto passi da gigante, le foreste pluviali tropicali, non essendo sussistito quasi alcun bisogno di carta che non fosse igienica, avrebbero continuato a crescere rigogliose, forme di comunicazione alternativa quali pittura, musica e gestualità avrebbero conosciuto sviluppi inimmaginabili e insomma non tutto il male sarebbe venuto per nuocere.
E invece, com'è come non è, esiste la ruota, e quindi il treno fila liscio, ed esiste la scrittura, e quindi in treno posso scrivere, e quindi quelle volte che, come oggi, prendo il treno posso scrivere post come questo, e quindi a voi vi tocca leggerli. Fatevene una ragione.

lunedì 2 gennaio 2012

Avere 0x20 anni

Ci ho messo un po', in realtà, a realizzarlo, ma stavolta non è solo che ho un anno in più, come tutti gli anni di questi tempi. No, a 'sto giro c'è qualcos'altro. Con ogni probabilità, non mi succederà ancora molte altre volte di avere un'età multipla di 2. Un'età che in binario si può scrivere con un solo 1 seguito da un tot di 0. È stato così altre 5 volte nel passato, se tutto va bene sarà così ancora un'altra volta in futuro, e poi a occhio basta, quegli anni là mi sa che non li doppierò più. Tra l'altro viene 100000, quest'età qua, in binario: una bella cifrona tonda e soda. Come un buon vecchio foglio da 100000, ricordate? E quindi celebrare l'evento con un post, per quanto striminzito e insulso come questo, mi sembrava doveroso. E quindi l'ho fatto.