lunedì 23 gennaio 2012

Io non guardo il risultato

Ero a pensare al ben noto discorso secondo cui spesso più che il risultato finale conta come ci sei arrivato, il percorso che hai seguito, le difficoltà che hai superato, le sensazioni che hai provato lungo il tragitto e così via. Nulla di particolarmente originale, come vedete. È storia vecchia, ancorché vera, e l'hanno detta in tanti molto meglio di come potrei mai dirla io. Non avrei certo scritto un post su questo. Non se lo sarebbe meritato, un post, questa banale riflessione. In altre parole, tanto per rimanere in argomento, il risultato (il post) sarebbe stato assolutamente trascurabile, specie se paragonato al modo in cui ci sono arrivato, a pensare a questo post.
E come ci sono arrivato? Ecco. Tempo fa ero lì di fronte al cesso, con il pollice sul bottone dello sciacquone, pronto a regalare al fiume la mia ultima creatura ancora calda, e osservandola riflettevo sul fatto che non era proprio niente di che: due o tre pezzettoni di materia marrone, molliccia, puzzolente, malsana. Proprio uno schifo (ma ciò non è un dato oggettivo, come cantava quello). Eppure il, diciamo così, processo produttivo è tanta roba. In particolar modo se il trascorrere del tempo lo ha reso particolarmente impellente, ma in realtà anche se avrebbe potuto essere rimandato ancora di qualche quarto d'ora, il procedimento mediante il quale blocchi siluriformi di tiepidi rifiuti semisolidi vengono espulsi del nostro organismo, così come tutte le funzioni biologiche volontarie necessarie alla sopravvivenza dell'organismo stesso e della specie, è stato progettato dalla Natura per essere piacevole per l'individuo che lo mette in atto. E ci riesce, altroché se ci riesce. Poi, il risultato fa schifo, è vero, ma in fondo basta un colpo di sciacquone (e 2 o 3 strusciate di scopino, se proprio necessarie) per spedirlo in mare.
Questo pensavo.
E quindi, adesso che ho finito di scrivere questo post, sapete che faccio?

mercoledì 11 gennaio 2012

Tutu ven a tagiu, anke l'unza da mundar l'agiu


Perché non è mica che serve proprio tutto, eh. Cioè, non è che tutte le cose che esistono, che sono state inventate o realizzate, siano assolutamente indispensabili. Certo, ormai che ci sono ce le teniamo e se ci tornano utili le usiamo, ma molte se non ci fossero pazienza, se ne farebbe a meno e si andrebbe avanti inconsapevoli e quindi tranquilli.
Chiaro che questo discorso non vale per tutto: il fuoco, per esempio. Se a suo tempo non avessimo scoperto il fuoco, probabilmente saremmo ancora lì al freddo e al gelo in qualche antro buio e umido a menarci coi licaoni (e a buscarle) per accaparrarci qualche brandello di seconda scelta della carcassa putrescente di uno gnu morto di vecchiaia. Col fuoco no.
Ma di tante altre cose si potrebbe far senza senza troppi danni. E non mi riferisco solo ai più moderni e superflui ritrovati della tecnologia, ma anche a invenzioni, per così dire, di base.
La ruota, per dire. L'abbiamo inventata, è bella, è utile, e la usiamo. Ma non era mica obbligatoria. Tutti gli altri animali non ce l'hanno mica: eppure. Camminano, trottano, corrono, volano, nuotano, strisciano, saltano, nessuno usa ruote, eppure tutti vanno senza problemi per la loro strada. E così potevamo fare anche noi. Le automobili sarebbero forse state simili a grossi gusci dal sapore vagamente leonardesco dotati di enormi zampe connesse direttamente alle bielle, i treni avrebbero avuto l'aspetto di millepiedi giganti sballonzolanti, il Giro d'Italia lo si sarebbe corso a piedi (e in fondo sarebbe bastato aumentare leggermente le dosi di eritropoietina per mantenere invariata anche la media oraria), vasi e piatti sarebbero stati quadrati come nei ristoranti di grido: poco male.
Oppure, la scrittura. Sul tema non c'è bisogno di scomodare Platone o chi per esso, spero. Senza la scrittura, la cultura avrebbe continuato a essere tramandata oralmente e arricchita passaggio dopo passaggio, il riconoscimento automatico della voce avrebbe necessariamente fatto passi da gigante, le foreste pluviali tropicali, non essendo sussistito quasi alcun bisogno di carta che non fosse igienica, avrebbero continuato a crescere rigogliose, forme di comunicazione alternativa quali pittura, musica e gestualità avrebbero conosciuto sviluppi inimmaginabili e insomma non tutto il male sarebbe venuto per nuocere.
E invece, com'è come non è, esiste la ruota, e quindi il treno fila liscio, ed esiste la scrittura, e quindi in treno posso scrivere, e quindi quelle volte che, come oggi, prendo il treno posso scrivere post come questo, e quindi a voi vi tocca leggerli. Fatevene una ragione.

lunedì 2 gennaio 2012

Avere 0x20 anni

Ci ho messo un po', in realtà, a realizzarlo, ma stavolta non è solo che ho un anno in più, come tutti gli anni di questi tempi. No, a 'sto giro c'è qualcos'altro. Con ogni probabilità, non mi succederà ancora molte altre volte di avere un'età multipla di 2. Un'età che in binario si può scrivere con un solo 1 seguito da un tot di 0. È stato così altre 5 volte nel passato, se tutto va bene sarà così ancora un'altra volta in futuro, e poi a occhio basta, quegli anni là mi sa che non li doppierò più. Tra l'altro viene 100000, quest'età qua, in binario: una bella cifrona tonda e soda. Come un buon vecchio foglio da 100000, ricordate? E quindi celebrare l'evento con un post, per quanto striminzito e insulso come questo, mi sembrava doveroso. E quindi l'ho fatto.