sabato 30 maggio 2009

Grafemi a caso

Ero qua a leggere questo post qua, che è uno di quei post che avrei voluto scrivere io anche un po' meno bene, e già che ci sono coglierei l'occasione per consigliarvi la lettura di tutto il blog da cui il medesimo è tratto, denso di spunti interessanti in confezioni non banali, mica come 'sta robaccia qui.
E insomma, ero a leggere e pensavo che in effetti anche alle mie latitudini funziona proprio così, che lo spezzino si stempera nel sarzanese prendendo un po' d'aria pura dalle colline della bassa Lunigiana, poi, beh, oltre c'è il carrarino, ma quello fa storia a sé, e non serve scomodare Tito Livio per rendersene conto. In ogni caso nell'andamento dei dialetti c'è storia e geografia, spazio e tempo, ma la funzione dialetto(x, y, z, t) è continua lungo tutte le direzioni spaziotemporali, i dialetti si dissolvono l'uno nell'altro, non ce ne sono di salti bruschi. I salti ci sono per le lingue ufficiali, standardizzate, artificiose, quelle della televisione appunto. Alla televisione tedesca parlano in tedesco, pochi cazzi. Ma sul territorio, sul campo, un tale andamento costante a tratti con discontinuità così nette te lo scordi. Nel parlato.
Ma nello scritto? Non parlo di ciò che uno scrive, ma proprio dei mezzi, dei segni, che usa per scriverlo. E lì la questione cambia, uno scrive coi caratteri normali, questi qua, latini o come si chiamano; un altro usa i suoi ideogrammi; uno usa quei segni arabi, un altro quelli ebraici; però quelli sono. Si sceglie un insieme di simboli e poi si compongono le parole pescando sempre da lì, non è che si mischiano. Se vai un po' più in là, a un certo punto passi un confine e da lì in poi si usano degli altri segni. C'è da dire che quei segni lì sono adatti a rappresentare la lingua di plastica di cui sopra, coi dialetti cannano brutalmente (provate a scrivere messciua e poi rileggetelo) e degli accenti non ne parliamo. Ma insomma qui le lettere sono quelle, là sono quelle altre. Nello spazio.
Ma nel tempo? Lì l'evoluzione c'è, ed è graduale, mi pare. Prendi uno di quei libroni medievali e non riconosci neanche che son lettere. Poi inizia la stampa e lì, per ovvie ragioni, si standardizza il tutto, ma mica più di tanto. Prendi un vecchio libro e ci trovi quelle s che sembrano degli integrali, e ci trovi le i col tettuccio sopra e le j tra 2 vocali; poi pian piano, con continuità, si estinguono. E lo stesso immagino sia avvenuto e stia avvenendo col giapponese, per dire, anche se non ne so neanche una sillaba. Non so chi è che decide tutto, non io, ma pian piano succede, gli alfabeti cambiano. E gli stili pure: stiamo liberandoci dalla dittatura del Times New Roman ma ci siamo ancora dentro, poco da fare.
Come che sia, millenni di evoluzione continua hanno portato fin qui. A questi segni qui. Che uso per scrivere dei post come questo. Fate un po' voi.

6 commenti:

Dalamar lo scuro ha detto...

caspio Gilo... un post interessante... come è successo? Beelin... mi stupisci bravo Gilo continua così... stai migliorando...

asintoto ha detto...

alla dittatura del Times New Roman non ci avevo mai pensato!

sul fatto che è impossibile scrivere in dialetto invece sì, e anche se è il tuo dialetto fai sempre una fatica bestiale a leggerlo, è incredibile.

(quanto le devo per la pubblicità?)

Avvelenato ha detto...

Questo post qui farebbe venire un orgasmo al mio prof Arnaldo Ganda. E uno magari appena meno intenso pure al prof Paolo Bongrani.
Ma non è questo il punto.
Il punto è che mi pare un post estremamente interessante e scritto in maniera estremamente intelligente. Per cui sono fiducioso per il prosieguo della storia delle genti.

E già che ci sono, esprimo la mia soddisfazione per aver fatto da indiretto e inconsapevole tramite per il contatto di due notevoli materie grigie.

Esisto per qualcosa.

TomDeMarco ha detto...

very interesting issue, Alessandro Gilardi is one of my favourite fellows for sure!

Unknown ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu