mercoledì 17 dicembre 2008

Aneddotica ferroviaria

L'altra sera invece ero in treno, fermo, aspettando di partire. Ero a Pisa centrale, che è una stazione grandicella, mica a Scorcetoli. E a un certo punto vedo il macchinista, là davanti, che scende, attraversa il marciapiede e si mette ad armeggiare con uno dei fanali della locomotiva del treno fermo sul binario accanto al nostro. E adesso questo cosa fa?, penso. Niente ha fatto, ha solo aperto il fanale dell'altro treno, ha svitato la lampadina, l'ha avvitata in uno dei fanali del suo, ovvero del nostro, treno, e siamo partiti. Tutto qua, sì. Ma che spettacolo le Ferrovie.

giovedì 11 dicembre 2008

1000 dB€ al mese

Tutti che parlano di crisi, di recessione, inflazione, deflazione, stagnazione e robaccia del genere. Io non lo so, non sono un esperto, ma se son tutti così preoccupati dev'essere un casino grossetto per davvero. In sostanza, per quel poco che ci ho capito, succede che a un certo momento per un qualche motivo la gente si convince di avere pochi soldi da spendere e allora inizia a comprare meno roba, le fabbriche producono meno roba e licenziano i dipendenti, i dipendenti licenziati hanno ancora meno soldi da spendere, e così via. E non se ne esce. Già, hanno proprio ragione, bel casino.
Bisognerebbe proprio evitare di entrare nel circolo vizioso, se possibile. E come si fa? Evitando che la gente si senta povera. Evitando che uno pensi di non potersi permettere un certo prodotto. Chiaro che se una persona vede che una Mito costa 20000 euro (ventimila!) si tiene la sua Panda. Bisognerebbe fargli credere che le cose, soprattutto quelle care, abbiano prezzi più abbordabili.
E come?
A me un'idea m'è venuta, e ve la illustro. Stando a quel poco che mi ricordo dei lunghi anni di università, infatti, qualcuno un bel giorno ha inventato una robetta che potrebbe fare al caso nostro. Dunque. Detto in parole povere, data una grandezza x, questa si può esprimere in decibel (dB) facendone il logaritmo e moltiplicandolo per 10. Ovvero, a grandi linee,

x[dB] = 10 * Log (x).
Lo so, non è esatto, x dovrebbe essere un rapporto e così via, ma il concetto è quello. Bene. E a cosa serve tutto ciò? Serve a gestire facilmente valori che possono variare in un intervallo molto ampio: utilizzando i decibel si ottengono numeri più semplici da maneggiare. Ad esempio, 1000 corrisponde a 30dB, 1000000 corrisponde a 60, 1000000000000 a 120, e così via.
E allora?
Allora basterebbe utilizzare i decibel anche per i soldi. In pratica si introdurrebbe una nuova moneta, che si chiamerà decibeuro o dibieuro o roba del genere (simbolo dB€), con la quale si dovrebbero esprimere i prezzi di beni e servizi (non gli stipendi, se no il gioco s'inceppa). Così una Mito costerebbe solo 43 dB€ (solo 4 più di una Panda!), una casa decente si comprerebbe con 54 dB€, e chi non avrebbe (o penserebbe di avere) 54 dB€ da spendere? Anzi, ne lascerebbe anche 1 di mancia. E un altro vantaggio si avrebbe nel malaugurato caso di un aumento dei prezzi: suvvia, solo un miserabile pezzente si farebbe turbare da un aumento di 3 dB€ prima di capire che in realtà quel prezzo è raddoppiato. E nel frattempo l'economia riprenderebbe a girare, le fabbriche riaprirebbero, e il mondo sarebbe migliore. Forse.

sabato 6 dicembre 2008

Post su commissione incompiuto

L'autore di quello che al momento è l'ultimo commento all'ultimo post mi ha fatto una richiesta, tempo fa. E se conosceste il soggetto in questione, credetemi, fareste il possibile per soddisfare ogni sua richiesta, o quasi. Oddio, in effetti è quasi un anno che mi ha chiesto questa cosa. Però non avrà avuto mica fretta. Spero.
Il fatto è che il tizio, quasi un anno fa, mi aveva chiesto con cortese insistenza di scrivere un post su Buona Domenica. Costui infatti sostiene (e chi gli dà torto?) che con ogni probabilità all'interno di tale simpatica trasmissione televisiva potrei facilmente trovare svariati spunti per altrettante profonde riflessioni.
E di fronte ad una tale richiesta proveniente da una tale persona potevo forse rifiutare?
Sfortunatamente, però, da diversi anni non mi capita di essere costretto a passare una domenica pomeriggio a letto: di conseguenza non ho modo di visionare la trasmissione in questione. E d'altronde mi riesce abbastanza difficile parlare di cose che non conosco, il che, a parte il blog, costituisce un problema di non secondaria rilevanza anche nella vita vera.
Rebus sic stantibus (si apprezzi la botta di cultura), i casi sono due:
1) Qualche lettore produce un post decoroso sull'argomento e me lo invia, e io lo ringrazio e lo pubblico.
2) Qualche lettrice mi attacca una qualche malattia venerea a sua scelta, offrendomi così l'opportunità di rincoglionirmi tutta la domenica davanti alla TV e di produrre il post conseguente, e io la ringrazio ancora di più e lo pubblico.
A voi la scelta. Intanto avete tempo, pare che almeno fino a stasera sia ancora sabato.

lunedì 1 dicembre 2008

Consenso informato

Ho fatto il vaccino contro l'influenza. Perché? Di certo non per evitare il rischio di assenze dal lavoro per malattia, giacché sono consapevole che una mia assenza di sei mesi non recherebbe danni apprezzabili al progetto, all'azienda e al sistema Paese. No, l'ho fatto solo per evitare di dover prendere tutte quelle piccole precauzioni quotidiane che dovrebbero servire ad evitare il contagio, e perché, stante la mia proverbiale fortuna, se mi dovessi ammalare sarebbe sicuramente sotto Natale. Comunque sia, dicevo, ho fatto il vaccino. Il che significa che ho dovuto fare una puntura. Cioè che un pezzo d'acciaio ha dovuto forare il mio caro tessuto epiteliale penetrando all'interno di un qualche fascio muscolare a caso, e una volta dentro ha dovuto immettere mezzo millilitro di uno strano liquidino biancastro tra una fibra e l'altra dell'incolpevole muscolo prescelto.
Tutto questo alla fine del 2008.
Ammetterete che si tratta di un'operazione alquanto primitiva. Voglio dire, con tutti i progressi che sono stati compiuti nel corso di tre millenni di scienza medica, con tutte le schifezze che si creano oggidì con l'ingegneria genetica, con le nanotecnologie, con tutte quelle robe lì, è mai possibile che per fare un cavolo di vaccino contro una malattia stupida come può essere l'influenza ci sia bisogno di una puntura? Che non si possa prendere una banalissima pasticca? A me sarà che le cose che mi entrano dentro mi piacciono poco, ma mi pare una tale assurdità. Cioè, cari amici medicastri, riuscite a incrociare meduse con elefanti, trapiantate organi come cambiare lampadine a una Panda, studiate metodi complicatissimi per debellare malattie che colpiscono un individuo su tre miliardi e spesso di striscio, e ci volete venire a raccontare che davvero per fare un vaccino ci dovete per forza perforare tutti?

Ma chi volete prendere in giro?
Via, ditelo che vi divertite. Confessatelo, su, non c'è mica niente di male. Siete esseri umani anche voi, in fondo. E spesso vi tocca rovistare in mezzo a roba oggettivamente schifosa, piaghe, pustole, bubboni, secrezioni strane, sangue&merda. Avrete pur diritto di divertirvi, ogni tanto. E allora, in quei vostri convegni tenuti casualmente in rinomate località di villeggiatura in giro per il mondo, vi mettete tutti d'accordo e ci raccontate che vi dispiace tanto ma purtroppo vi tocca bucarci. E così sfogate su di noi i vostri inconfessabili istinti sadici. E sia. A noi in fondo ci basterebbe saperlo...

mercoledì 26 novembre 2008

Contro C _ _ _ o

Lì dove lavoro io, proprio nel mio stanzino, da un po' di tempo ci hanno messo un tipo nuovo. No, mettiamo subito le cose in chiaro: non è un mio collega. Non vorrei che mi si confondesse con certa gente. E' uno che è lì a fare la tesi. Su che cosa non lo so e non me ne frega neanche niente, e non merita che me ne interessi, ma che è tesista ce l'ha scritto anche sul badge, quindi è palese. Anzi, per la precisione sul badge gli ci hanno scritto Stagista, auspicabilmente per inserire un velato accenno alle reali mansioni per le quali è stato preso.
Intendiamoci: non è che ce l'ho con tutti i tesisti (o stagisti che siano), anzi. Alcuni stanno incrementando sensibilmente la percentuale di donne presenti in azienda (non ci vuole molto a incrementarla sensibilmente, quella percentuale, in quell'azienda...), altri si sono conquistati immensa e meritata stima regalando panini e buoni pasto a destra e a manca; ma questo qui.
Questo ogni tanto lo vedi arrivare, con calma, all'ora che gli pare ma sempre prima di pranzo; se ne va all'ora che gli pare ma sempre dopo pranzo; sfrutta fraudolentemente strumenti telematici aziendali che sarebbero assegnati ad altri; utilizza i cessi dei dipendenti anziché andare a fare le sue cosine nel piazzale come dovrebbe; e in più vuole anche dei soldi. E pare che li potrebbe anche ottenere. Non dall'azienda ma - dice - dall'università. Cioè, l'università lo pagherebbe per venire lì a fare la tesi. Cioè, il Ministero della [Pubblica?] Istruzione, dell'Università, della Ricerca eccetera, che notoriamente ha le pezze al culo, non ha una lira per pagare i ricercatori veri ma neanche per cambiare il toner della fotocopiatrice, si permette di pagare questo qui per venire a frantumare le palle a chi lavora e ai compagni di stanzino. E lui si lamenta pure che lo pagano poco. Come se a tutti noialtri ci avesse mai pagato qualcuno per laurearci.
Ma che vergogna.
Oddio, forse un po' si vergogna anche lui, in effetti. Tanto che mi ha autorizzato a scrivere questo brutto post di denuncia. E avrei voluto anche vedere.

sabato 22 novembre 2008

Essere Normale

Ieri sera in treno a Pisa due tipi sono saliti e mi si sono seduti vicino, uno di fronte all'altro. Due ragazzi. Due studenti del primo anno. Due matricole, si sarebbe detto ai miei tempi. In ogni caso, due della Normale. Uno studiava matematica, uno fisica. Questi si sono seduti e sono stati tutto il viaggio a discorrere di spazi vettoriali, polinomi, applicazioni suriettive, limiti di serie, dimostrazioni fantasiose di teoremi astrusi, e seghe mentali assortite. E discutevano, e si appassionavano, e si divertivano. Bisognava vederli. E non solo vederli. Per fare le cose a modo sarebbe stato da avere una pagaia (v. Figura 1), in modo da poterli picchiare entrambi con una sola bracciata. E dargliele a due a due finché non diventavan dispari, come si dice. Insomma, ieri sera sono stato felice di essere igniorante.

domenica 16 novembre 2008

Nulla

Mi è stato richiesto, per lavoro, un certificato penale del casellario giudiziale. E io proprio ieri, nonostante due aggettivi - per di più in rima - su cinque parole non rappresentino un esempio della prosa che preferisco, ligio al dovere l'ho fatto. Ma l'ho fatto significa che:

  • Ho dovuto cercare su Internet di che roba si trattasse e dove lo facessero;
  • Ho dovuto telefonare per chiedere gli orari e la documentazione necessaria, perché vatti a fidare di Internet;
  • Ho dovuto comprare due marche da bollo da €3,10 cadauna;
  • Ho dovuto comprare due biglietti per Spezia;
  • Ho dovuto prendere la corriera giusta all'ora giusta, scendere alla fermata giusta, entrare dalla porta giusta, andare al piano giusto nell'ufficio giusto;
  • Ho dovuto compilare l'apposito modulo.
E tutto questo per cosa? Per avere un foglio in cui (cito testualmente) "si attesta che nella Banca dati del Casellario giudiziale risulta: NULLA".
Cioè, tutto 'sto casino per un foglio con scritto nulla. Un traffico palesemente sproporzionato rispetto ai risultati. Talmente palese era la sproporzione che me ne sono accorto subito, appena l'addetta mi ha consegnato il foglio. E lì per lì ho anche pensato a un possibile metodo per rendere meno inutile tutto il lavoro fatto fino a quel momento per quel foglio. Mi sarebbe bastato impugnare saldamente la penna con cui avevo appena compilato il modulo e conficcarla con determinazione nel collo dell'addetta, piantandogliela secca nella carotide. Così la gentile signora avrebbe potuto cancellare col proprio sangue la parola "NULLA" dal certificato e vi avrebbe potuto scrivere, in diretta, qualcosa di più concreto. Non so esattamente cosa, non sono mica un penalista, ma qualcosa che giustificasse il dispendio di tempo ed energie che avevo profuso per ottenere il certificato stesso. Ci ho pensato qualche istante, ma poi ho guardato l'orologio, ho visto che rischiavo di perdere la corriera, e me ne sono andato. Nulla.

giovedì 13 novembre 2008

A pomi

Spero mi perdonerete se per una volta mi lancio a capofitto in un'analisi caratterizzata da notevole dettaglio e profondità nei riguardi di un argomento di interesse niente meno che planetario, ma mi tocca.
Il fatto è questo: piove.
Non so lì, ma qua è piovuto anche oggi. Tutto il giorno. Come se finora ne fosse venuta giù ancora poca, d'acqua. No, ma dico: ma quanta ne è venuta? ma dove se la tenevano tutta? ma ce n'avranno ancora tanta? ma io non lo so. Quello che so è che ora, come se non bastasse, vi beccate anche questo:



Scusate la banalità ma era d'obbligo.

venerdì 7 novembre 2008

Ciao

Poco fa sono stato contattato in chat da una persona. Non importa chi, una. Questa persona era piuttosto incazzata nei miei confronti, giacché sosteneva che non una ma ben due volte, avendola incontrata sulla pubblica via, non l'ho salutata. E con ogni probabilità è successo proprio così. Non posso darle torto. Mi sono scusato e ho provato a spiegarle la questione, ma non sono sicuro di averla convinta. In ogni caso è una questione generale, che non riguarda solo quella persona, anzi. Già che ci sono, quindi, ve la spiego anche a voi. Alcuni dei miei cari lettori la conosceranno già, e potranno confermarla; per altri sarà un avviso per il giorno in cui, incontrandoli, non li saluterò (sempre che non sia già successo); ad altri ancora non fregherà niente ma non sarà certo la prima volta.
La questione, detta in parole povere, è semplice: non riconosco le persone.
Cioè, calma, non tutte le persone. Quelle con cui ho a che fare spesso e/o da parecchio tempo le riconosco senza problemi. Il problema sono le persone che vedo ogni tanto o che conosco da poco. Quelle, salvo casi eccezionali, fatico proprio a riconoscerle. E non riconoscendole non le saluto. Non è che posso andare in giro salutando tutti quelli che incrocio. Ovvio.
Sì, ovvio se lo sai. Se non lo sai vedi solo che non ti saluto e giustamente t'incazzi e non mi saluti. Questo mi è già successo con diversa gente, e temo che mi succederà ancora. Ho collezionato pacchi e pacchi di figure di merda, negli anni, con questa storia. Certo, la questione ha anche qualche lato positivo: quando gli altri si lamentavano perché al mare (o in piazza) c'era sempre la solita gente, io non mi sentivo minimamente sfiorato dal problema. Però, capirete, globalmente la questione ha il suo peso. In realtà la questione ha anche un suo nome: la chiamano prosopagnosia, e ci studiano anche sopra. Certo, la mia è senz'altro una forma lieve, la mamma la riconosco ancora (forse perché di mamma ce n'è una sola...), ma credetemi, è una discreta rottura comunque. Voi ora lo sapete. Ditelo in giro, se vi capita. E ciao a tutti.

domenica 2 novembre 2008

Le fontane caudine

Premetto che reputo la presenza delle fontanelle, così come quella delle panchine, uno dei più immediati segni tangibili della civiltà di una città. Offrire gratuitamente acqua ai viandanti e riposo alle loro stanche membra senza costringerli a entrare in un bar è un gesto assai nobile. Però.
Però salvo poche, lodevoli eccezioni, le fontane hanno un difetto. Sono basse. E per bere ti costringono a chinarti fino a mezzo metro da terra, operazione scomoda e che obbliga l'assetato ad offrire alla vista dei passanti una parte di sé unanimemente ritenuta poco nobile.
Anche qua, come in molti altri casi della vita, una ragione ci deve pur essere.
Ci ho pensato.
Escluderei le economie sulla materia prima: sul prezzo della fontana, comprensivo di installazione e tutto, un allungamento di un palmo non dovrebbe incidere in maniera apprezzabile. Mi sentirei d'altronde di escludere anche altre ragioni tecniche, estetiche o comunque architetturali. E allora?
La spiegazione che mi pare più plausibile, anche se difficilmente gli assessori alle fontane la confesseranno, è che i sindaci intendano obbligare gli utenti delle fontane cittadine a ringraziarli per il servizio offerto loro. Facendo la fontana bassa, chi ne vuole usufruire deve inchinarsi, quasi prostrarsi, di fronte al gentilissimo amministratore pubblico che si è prodigato per rendere più confortevole il suo soggiorno in città. Un po' come se venisse costretto a passare sotto le famose forche caudine, direi.
Poco male. Tutto sommato, mi pare che ne valga senz'altro la pena.